La prima cosa che mi chiedono le
persone quando sanno che sono una superstite del Vajont
e che quella sera ero a casa è "Cosa hai sentito,
cosa hai provato? Come ti sei salvata?" Quello che
e' successo l'ho scritto in un racconto, racconto reale,
vissuto in prima persona, con tutte le conseguenze
fisiche, psicologiche e morali che questo comporta.
"C'era una strana aria, in quei primi giorni di
ottobre, a Longarone. Si sentivano strani discorsi. La
gente bisbigliava continuamente, ma non capivamo bene di
cosa, almeno noi bambini. ricordo un discorso sentito
così, di sera tra mamma e papà, un discorso fatto
quando noi bambini, eravamo in cinque, non eravamo
presenti. Ricordo quella sera che la mamma diceva al
papà: "Non sarebbe meglio mandare i bambini a
Belluno?"
Mi sono fermata ad origliare. Perché la mamma voleva
mandarci via? Cosa avevamo fatto?
La voce di papà rispose: "Cosa vuoi che importi?
Se cade la diga, parte anche Belluno! Se dobbiamo
morire, meglio farlo tutti assieme!!"
Era un discorso troppo duro e forte, almeno per me.
Incomprensibile! Guardavo la diga e pensavo: "Come
può farci del male, farci morire?"
Ogni mattina, quando mi alzavo, aprivo la finestra e lei
era lì, sempre incuneata tra le montagne, bella di una
bellezza fredda e tranquilla. Come poteva, quel muro
grigio che tutti venivano a vedere, portare morte? come
poteva essere cattiva, se arrivavano corriere piene di
persone anche straniere, soltanto per guardarla? Per una
dodicenne come me era incomprensibile! C'erano stati dei
piccoli terremoti, ma non poteva essere colpa della
diga!!
Qualcosa però era diverso. Era proprio l'aria ad
esserlo; c'era una tensione in tutte le persone, una
paura, quasi, di guardarsi; un sussurrare quasi
continuo, una paura nuova negli occhi! Papà faceva i
turni alla diga, faceva dalle 14 alle 20. Alle 20 noi
piccoli dovevamo andare a dormire; ho sentito arrivare
papà con la macchina, aprire la porta della cucina e
parlare con la nonna. Mia sorella più grande stava ad
ascoltare la radio con loro. Dopo un po' ho sentito
delle voci, qualcuno parlare in maniera concitata, sedie
che si spostano. Poi il rumore della macchina di papà
che va via. Dopo pochi minuti, mi stavo riaddormentando.
Nel dormiveglia ho sentito un tuono. La voce di mia
nonna che diceva a mia sorella che stava andando a
dormire: "Chiudi le imposte che sta arrivando un
temporale! Nello stesso istante, una folata di vento che
arriva da lontano e fa sbattere le imposte, poi … un
rumore sordo, fondo, la sensazione che il letto
prendesse velocità, una forza spaventosa che mi
prendeva alla schiena, mi piegava in due, mi
schiacciava; la sensazione di essere di gomma, di
allargarmi e poi restringermi, gli occhi diventati due
stelle; una pressione enorme che mi tirava per i
capelli, che mi risucchiava in un pozzo senza fine; mi
inchiodava le braccia al corpo senza possibilità di
muovermi; un gran male alla schiena giù in fondo;
l'impossibilita' di respirare … !
Questa forza che mi teneva legata non so a cosa mi ha
fatto arrabbiare! Ricordo di aver pensato: "No! non
voglio lasciarmi andare!", anche se sembrava la
sola cosa da fare. Ho, con tanta fatica, alzato un
braccio, mi sono toccata la faccia cercando gli occhi,
il naso, la bocca; mi sembrava di essere diventata
sottile, schiacciata, senza spessore; ho alzato le
braccia sopra la testa … cercavo qualcosa da toccare
… e poi … il nero. Nero totale.
Non so quanto tempo dopo ho cominciato a sentirmi più
leggera; non c'era più quel peso che mi schiacciava; ho
sentito mani che mi tiravano, mi prendevano per una mano
e un piede … finalmente aria! Ero libera!!
Una voce diceva: "E' un'altra vecchia!" Al che
mi sono arrabbiata e ho detto, o forse ho solo pensato;
"Ho dodici anni!"
Altro buio … ricordo qualcuno che mi ha caricato in
spalla (quella di Ado De Col, unico sopravvissuto dei
Vigili del Fuoco); guardavo e vedevo solo sassi; enormi,
bianchi; nessun rumore se non il respiro pesante e
affannoso di chi mi stava portando in spalla; il vento
… vento che soffiava gelido e con intensità.
In alto, solo la luna, grande, enorme, rotonda; sembrava
prendesse tutto il mondo con la sua facciona rotonda e
gialla. Non c'era altro che lei, la luna ed il mio
terribile male alla schiena.
Dicevo: "Lasciami camminare, mettimi giù!"
Ado che ripeteva: "No!". Altro buio.
Ado che ferma una macchina con quattro persone, mi
sembravano due uomini seduti davanti e dietro due donne.
Quello che guidava e' sceso, ha messo una sirena da
qualche parte. Le due donne si sono strette e mi hanno
fatto stendere sul sedile posteriore.
Urlavo dal dolore, non riuscivo a stendermi. Altro buio;
sentivo solo qualcuno che gridava. Forse ero io.
Ricordo un soffitto, una luce tenue; non ero più in una
macchina, qualcuno mi aveva messo in una lettiga;
ricordo una persona che mi guardava, ricordo solo gli
occhi.
Qualcuno spingeva velocemente la lettiga, poi … più
niente fino alla visita della principessa Titti di
Savoia.
Sono venuta a sapere soltanto poco tempo fa che mia
sorella, quella che e' morta e che non so dove sia stata
sepolta, era nel letto vicino al mio, anche se a
separarci c'era una mezza parete.
Non ho ricordi dei due mesi passati all'ospedale di
Pieve di Cadore.
Non so assolutamente niente di quello che e' successo in
quel periodo, anche perché tutto quello che riguarda le
cartelle cliniche e la storia medica non solo mia, ma,
presumo, di tutti i superstiti ricoverati lassù, non
esiste più, dato che i documenti riguardanti il nostro
ricovero e quant'altro sono spariti, distrutti! A quel
tempo, l'ospedale era privato; diventando poi statale,
l'incaricato dell'archivio ha ritenuto non importante
per nessuno la nostra posizione medico - ospedaliera.
Questo e' l'inizio del mio personale Vajont.
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