Al
Comitato sopravvissuti Vajont
Innanzi tutto ci presentiamo: siamo gli alunni della classe 1^H
dell’Istituto Magistrale “Angela Veronese” di Montebelluna, in provincia di
Treviso.
Quest’anno,
come viaggio di istruzione, in seguito agli argomenti trattati in biologia,
abbiamo scelto come meta i paesi di Erto, Casso, la diga del Vajont e
Longarone.
Così,
il giorno 11 maggio 2004, alle ore 8.00, siamo partiti dal centro di
Montebelluna.
Gentilmente,
i nostri professori di lettere e di scienze e la professoressa di matematica
del corso D ci hanno accompagnato.
Dopo
circa un’ora e mezza di viaggio siamo giunti a destinazione o, per essere più
precisi, il cimitero di Fortogna dove ci aspettavano le guide. Sfortunatamente
il cimitero era chiuso, o meglio, era un cantiere aperto!!
Le
guide ci hanno spiegato che è in fase di realizzazione il nuovo progetto di un
cimitero monumentale della cui costruzione i sopravvissuti non sono mai stati
avvisati.
Per
noi può sembrare una bella iniziativa, ma secondo la loro prospettiva, il
vecchio cimitero, seppur rovinato, era più raccolto e dava una maggior idea
della catastrofe della diga del Vajont.
A
questo punto la giornata si è capovolta: convinti di trascorrere una gita
all’insegna del divertimento, ci siamo resi conto della realtà. Tutto ciò che
ci circondava era frutto del passato e del presente e c’era un forte contrasto
tra le poche costruzioni rimaste e gli edifici nuovi!
Siamo
rimasti colpiti dal fatto che l’acqua avesse spazzato via tutto, ad eccezione
di un unico albero, una sequoia piantata all’interno di un agriturismo nel
paese di Faé, dove ci sono anche i resti di villa Protti.
Finalmente,
arrivati a Longarone, ci siamo concessi una piccola pausa per dirigerci poi
alla diga e, solo allora, ci siamo resi conto della sua imponenza e dell’entità della frana. Sono dimensioni a
dir poco impressionanti!
Accompagnati
dalla guida, siamo saliti sul coronamento della diga e abbiamo visto sia la
parte della frana, sia la parte opposta che apre alla vallata. Lungo un sentiero
siamo scesi, camminando sulla frana, siamo giunti alla base della diga che per
i suoi due terzi è sotterrata.
Una
volta tornati al pullman siamo andati verso Casso, abbiamo parcheggiato e ci
siamo incamminati verso il centro del paese dove finalmente abbiamo fatto una
pausa pranzo.
Dopo
questa pausa abbiamo visitato il borgo e durante il tragitto abbiamo incontrato
una donna anziana che ci ha raccontato che subito dopo la tragedia ha
abbandonato il paese ed è ritornata trascorsi due anni.
In
seguito siamo ritornati al pullman e siamo andati a visitare Erto, osservando
in particolar modo la via Crucis raffigurata lungo il muro. Abbiamo notato la
Erto “vecchia” e quella “nuova”. Ci siamo, poi, diretti verso Longarone per
visitare la chiesa che si caratterizza per un’architettura molto insolita che
ci ha lasciato alquanto perplessi.
Dopo
una breve sosta in questo paese, abbiamo ripreso la strada per il ritorno.
Ed ora
veniamo alle nostre considerazioni con dei brevi pensieri:
Laura
F.: la gita è stata interessante e mi ha
colpito molto la grandezza della frana che ancora è in movimento dentro la
diga. Mi è restata molto impressa l’altezza della diga pensando a quanta acqua
potesse contenere prima della tragedia.
Monica: di questa gita posso dire che sia stata la più
emozionante tra tutte quelle che ho fatto. Il mio pensiero va alla signora
Micaela che ci ha descritto l’accaduto come lo ha vissuto lei e mi ha fatto
venire i brividi: penso che solo due parole possano uscire dalla mia bocca,
cioè un GRAZIE di cuore per tutto quello che ci ha fatto capire… e bravissima
per essere riuscita a crescere senza i suoi genitori, senza le sue persone più
care e per essersi fatta un’altra vita lì, lì dove qualcuno gliela stava
portando via…
Vanessa: di questa gita mi ha colpito molto il racconto della
nostra guida, come ha fatto a salvarsi dalla tragedia. E poi mi ha colpito
molto la sequoia, che è l’unico albero che si è salvato e che è rimasto in
piedi durante quella notte e che adesso è ancora lì, per ricordare i sopravvissuti
e tutto quello che è successo.
Eleonora: la cosa che mi ha colpito di più è stata quella in cui
la guida ci ha rivelato di essere stata trasportata dalla violenza della
corrente della diga per un centinaio di metri rispetto casa sua, e mi ha stupito
il fatto che la protagonista narrava tutta quella tragica sera nei minimi
dettagli, trasmettendo angoscia e risentimento.
Sara: è stata una gita bellissima, Longarone, la diga del
Vajont hanno un fascino ogni volta diverso quando le vedo. In questi due posti
pieni di storia, c’era vita, c’è vita e ci sarà sempre… Sono posti pieni di
storia, sono un pezzetto della storia. Sono piccole gocce, ma che nel grande
oceano della storia fanno la differenza. Sarò un po’ ripetitiva, lo so, ma
quello che ho scritto è quello che penso.
Serena: Sta zitta fredda e dura
sta a monito con rispetto e
paura,
ma non è la causa,
soltanto un fattore
sta lì a ricordo
di un grande dolore
dov’è la giustizia di ieri?
Perché hanno permesso questo?
Non c’era controllo? Non c’era
volontà?
La vita umana che valore ha?
C’è stato rumore,
c’è stato pianto,
ma in questo momento
silenzio soltanto
come la fiamma al vento
La morte in un solo momento
La vita spezzata e svanita.
Dov’è la giustizia di oggi e di
ieri?
Dov’è la vita? Dov’è la gente e
la città?
Dov’è finita la dignità?
o che non vuole sapere,
e per questo mai saprà.
I
ricordi son pochi o nessuno
Ti
aggrappi e piangi, ché ricordi qualcuno!
Erica: sono stata
colpita dal modo in cui la guida ci raccontava questa terribile storia, perché
era piena di dolore e di risentimento verso le istituzioni che hanno privato i
sopravvissuti degli unici ricordi che erano a loro rimasti dei familiari.
Anch’io se fossi stata là avrei reagito così. Ho provato tanto dolore quando
siamo arrivati alla diga e ho visto le tombe dei tecnici e ho pensato: “Se i
miei familiari fossero stati tra quelli, cosa avrei fatto e provato?”
Valentina: le cose
che mi hanno colpito di più sono state due: quell’immensa sequoia resistita
all’onda senza la punta e il racconto della signora Micaela nel momento in cui
si è alzata l’onda riuscendosi a salvare, avendo le mani alla bocca creando
così una bolla d’aria.
Laura M.: a me la
diga non ha suscitato emozioni forti, perché tempo fa la vedevo abitualmente!
Però nessuno, fino ad ora, mi ha fatto notare la frana a M che si è formata
sulla montagna e questo mi ha stupito moltissimo. E scoprire che le dimensioni dell’onda erano di duecento metri sopra alla
corona della diga mi ha impressionato.
Jaya Rani: quello
che più mi ha colpito è stata la grande sequoia che siamo andati a vedere a Faé
perché è resistita a tutta quell’acqua che è scesa dalla diga e ai mezzi di
trasporto che gli si sino sbattuti contro.
Giorgia: questa gita
è stata molto interessante, una delle poche gite che, almeno penso, mi lascerà
qualcosa per sempre. Ho sempre sentito parlare o visto tragedie, ma non le ho
mai percepite così vicine. Credo che abbia
influenzato molto il fatto di
avere delle persone sopravvissute al fianco perché le testimonianze dal vivo
riescono a far percepire degli angoli
“oscuri” che vengono tralasciati dai giornali e dalle televisioni.
Cristina: quello che
mi ha colpito di più è stata la risposta che Micaela, la guida, mi ha dato
quando le ho chiesto cosa provava nel tornare in quei luoghi dove sono morte
così tante persone, tra cui i suoi familiari e dove lei avrebbe potuto morire;
mi ha risposto che non aveva paura di tornare là, ma aveva solo un rimorso
molto forte, perché non era riuscita a ritrovare la sua famiglia, ma era
riuscita a riconoscere solo suo padre. Allo stesso tempo era riuscita a
spiegarci in maniera diversa da come la raccontavano in televisione o come chi
non era un sopravvissuto alla strage che ha colpito non solo le piccole
cittadine, ma anche persone che non c’entravano nulla con la strage. E ancora
di più che hanno avuto la notizia del restauro del cimitero attraverso un
volantino affisso su un cassonetto dell’immondizia.
Alessandra: la gita
è stata molto bella, molto più di tutte le volte che ho visitato quel posto,
forse perché con una guida è più coinvolgente. In particolare mi è piaciuta la
visita a Casso e l’incontro con la signora anziana che ci ha raccontato la sua
esperienza. Di per sé è stato tutto interessante in quanto ogni cosa e posto
che abbiamo visitato avevano una sua storia e particolarità che ci ha fatto
rivivere quello che è successo quel giorno. In conclusione penso che questa
gita sia stata, oltre che istruttiva, anche un modo per capire e cercare di
ricordare questa tragedia che ha colpito migliaia di persone.
Roberta: per me la
gita al Vajont è stata molto istruttiva; leggere dei libri o guardare dei film
sul fatto è molto diverso. Ascoltando l’esperienza di persone sopravvissute,
parlando con loro, ci si accorge veramente di quello che è successo, dei loro
pensieri, dei loro ricordi e di quello che ne è stato di loro dopo quella
tragica notte.
Silvia: questa gita
è stata molto interessante per me. Ho provato una sensazione forte ma anche di
tristezza quando la signora Micaela ci ha raccontato la brutta esperienza fatta
quella notte. La cosa più bella è stato quando abbiamo incontrato un’anziana
signora cha abitava a Casso; anche lei è una sopravvissuta e nonostante l’età e
la solitudine del suo paese, si presentava come una donna piena di voglia di
vivere e di stare con le persone. Ho provato un’emozione forte anche quando
siamo saliti verso la diga perché rappresenta tutt’ora il simbolo fondamentale
di quello che è successo. Nonostante le continue spiegazioni e immagini non
potremmo mai capire e provare le stesse sensazioni che hanno provato tutte
quelle persone che erano in quella zona nella notte del 9 ottobre 1963.
Chiara: devo dire
che inizialmente non pensavo di scoprire e rimanere così impressa perfino dalle
cose più banali…ma, tutto, dico tutto, mi ha segnato la mente, il cuore, gli
occhi e l’anima. Tutte quelle persone che ricordano i loro genitori solo come
persone che andavano e uscivano da casa e che andavano al lavoro, che ricordo
è?! Quando io, per lo meno, ricordo già mia madre come la mia migliore amica?!
Immaginare una vita senza l’affetto dei propri genitori, è una vita nella quale
ti manca la cosa più importante e trovarci ogni giorno a dire: “Se questa frana
non fosse caduta…”, beh, è un pugno duro per voi sopravvissuti, ma è un cuore
che piange anche il mio…perché vedere questo momento e queste persone
dimenticate, o meglio, usate solo per modernizzare un cimitero e realizzare una
chiesa mai desiderata da nessuno, fa capire quanto valore hanno dato e danno a
queste persone che non continuano a vivere per colpa del denaro…quando
realmente sono loro le persone che hanno il diritto di essere onorate…
Sperando che vi siano piaciuti i nostri commenti, non ci
resta altro che ringraziarvi per la disponibilità, per la pazienza che avete
avuto e soprattutto per averci raccontato parte della vostra vita!!